Non ultimo un ringraziamento particolare alla signora Livia, l'arzilla mamma di Roberto che, a dispetto dei 90 anni, ci accoglie a braccia aperte ogni volta torniamo e la figlia Matilde con famiglia per la messa a disposizione del materiale e foto appartenute a Roberto.
I “discepoli” e amici, Marco Caroti, Alberto Dani, Giuseppe Orlando, infine, i compagni di una vita di Roberto, gli amici di infanzia Roberto Boldrini e in modo particolare Giovanni Benedetti, per molti anni il sideman di Roberto, colui che ha mantenuto in vita i progetti di Roberto e con estrema forza di volontà ha trovato l'energia e tanto amore per ultimare quanto Roberto ha lasciato incompiuto, forza Giovanni, Roberto è li accanto a te in laboratorio e nel suono di questi apparecchi, Roberto e ancora qui con noi.
Per sempre.
Sergio Guerra
Il LIUTAIO... E L'UOMO di Sergio Guerra
Pur avendone da tempo sentito parlare, conobbi Roberto Pistolesi solo nel 1993, che in quella occasione accompagnò l'amico Elio Vallini, al quale avevo venduto una Fender Stratocaster.
A Second Hand Guitar, dove mi decisi a fare un giro, volendo vendere uno strumento, ebbi la fortunata occasione di osservarlo attentamente dal vivo, mentre teneva una dimostrazione sulla sostituzione delle corde e regolazioni varie e in quel momento ho intuito di trovarmi di fronte ad un uomo fuori dal normale; finita la dimostrazione, mi presentai e parlammo non più di 5 minuti, in quanto letteralmente assalito dalle richieste degli appassionati, non prima di promettergli di passare nel suo laboratorio a S. Croce sull'Arno, in provincia di Pisa, a trovarlo per chiacchierare con più calma.
Nemmeno un mese dopo ero li con due manici da ritastare e mi resi conto di non avere sbagliato e il mix tra il suo carattere toscano, il suo linguaggio fiorito e la grande competenza ebbero su di me l'effetto di una enorme calamita e dal quel momento le mezz'ore al telefono non si contavano e appena ne avevo occasione, andavo a trovarlo, semplicemente per fare due chiacchere e constatare ogni volta la sua enorme competenza, di tutto, spesso portandogli dei materiali elettronici obsoleti, ma ancora inscatolati, che gli facevano brillare gli occhi mentre li guardava, come pure qualche lavoro di riparazione, ma con il timore di non più rivedere l'oggetto per qualche anno, tante erano allora le tante richieste e lunga l'attesa.
Rimasi impressionato dai macchinari che si era auto costruito, su tutti la macchina per ritastare I manici senza batterli… e la bobinatrice a fotocellula, che usava per riavvolgere i pickup interrotti con il filo “bono”, come da specifiche, ridando voce ai vecchi pickup interrotti.
Mi resi conto che un altro genio era fiorito da queste terre e come chi sicuramente più di lui famoso nel passato, aveva nell'ingegno la sua dote migliore, ereditata dal padre, che gli consentiva di inventare letteralmente dal nulla strumenti ed apparecchi rimasti unici.
Ero in Liguria per una vacanza con la famiglia e poco prima pubblicò il suo controverso e stupendo (per il pandemonio che successivamente si innesco tra gli appassionati) libro “That Sound” un certosino lavoro di ricerca e sperimentazione nell'ottenere i suoni degli Shadows, ed in particolare quelli del solista Hank Marvin.
Non avendo mai seguito fino a quel momento gli Shadows, ma cultore come lui di quei suoni primordiali, lasciai la famiglia in spiaggia in riviera di Ponente e mi fiondai a S. Croce sull'Arno per andare a trovarlo e naturalmente acquistare il libro che lui, su mia richiesta autografò con soddisfazione con una bella dedica.
E cosi per tanti anni e i viaggi si moltiplicarono, spesso in compagnia di Paolino Canevari, tanto che oramai il nostro tour era diventato un pellegrinaggio, con vari rituali, fino alla fine quando una mattina presto di fine maggio, ricoverato da qualche tempo in ospedale a Pisa, dopo mesi di tribolazioni, che ne avevano indebolito il fisico ma non lo spirito, nel nostro breve colloquio quotidiano invece della sua voce, quella di Matilde, la sua unica figlia che mi disse in lacrime, che il babbo non ce l'aveva fatta.
Sapevamo che da tempo lottava contro un brutto male, ma conoscendo la sua tempra non avremmo mai lontanamente immaginato ci lasciasse cosi presto.
In quel momento mi passarono davanti mille ricordi, aneddoti e momenti trascorsi in sua compagnia, con la testa che quasi scoppiava per il colpo durissimo e per l'amara consapevolezza di aver perso un grande amico, che difficilmente potrà essere rimpiazzato da un altro.
Avrebbe voluto tornare presto sui miei monti per soggiornarvi, specie per fuggire dalla calura estiva, dove stavo in quel periodo ristrutturando la mia Highland Farm e mentre lavoravo pregustavo già i bei momenti che si sarebbero trascorsi insieme, nella tranquillità e la natura, parlando di musica, suonando e divertendoci come altre occasioni era giunto a trovarmi, ma non è stato possibile e me ne rammarico sempre.
Personalmente per me è stato un modello di vita, visto che per vari versi, abbiamo avuto nella nostra esistenza passioni e vicissitudini molto simili che la passione per gli strumenti e amplificatori e “il suono” in senso assoluto, non hanno fatto che accrescere.
In questi 10 anni trascorsi dalla sua immatura scomparsa, mi sono dedicato a curare i suoi lasciti terreni in campo musicale e ho perso il conto dei viaggi, quasi sempre con il carissimo Paolino al mio fianco, compiendo gli stessi rituali di sempre e chiacchierando durante il viaggio con lui allegramente di tutto, ma quando transitiamo dal parco S. Rossore a Massaciuccoli, la vista dei pini marittimi mi riporta a quel tristissimo giorno in cui lo accompagnammo per l'ultimo viaggio da Pisa a Livorno e allora tiro diritto perché per noi tutti Roberto è ancora li seduto sul suo sgabello in laboratorio, che ci aspetta sorridente, in compagnia di qualche amico come Dario Cioni, con la battuta ironica pronta a colpire e il suo carattere travolgente, proprio della gente di queste terre.
E quando si arriva e non lo vediamo voglio pensare sia andato di la a prepararsi un thè.
RINGRAZIAMENTI...
Molti purtroppo coloro che dopo la sua scomparsa, vuoi per aumentare la loro visibilità o per altre ragioni gli hanno mancato di rispetto e a loro dico: guarda, passa e non ti curar di loro.
Nulla scalfisce il diamante più brillante e con cura lo custodiremo per sempre.
Molte di più le persone in tutto il mondo, musicale e non, che hanno apprezzato la sua grande professionalità e immenso lavoro di ricerca sonora.
Fred Gretsch III, industriale americano, ultimo erede della dinastia Gretsch, che entusiasta, dopo aver ricevuto alcune copie del libro ”That Sound”, ne ha ritornate un paio autografate, con una bellissima dedica.
Se Roberto non ci avesse lasciato prematuramente, molto probabile sarebbe venuto alle stampe un secondo capitolo di “That Sound”, ma inerente gli amplificatori…The Grunge King, Neil Young, che ha pure ricevuto sia il libro, che l'Ariab mk II, Larry Briggs suo ex guitar tech, George Gruhn di Gruhn Guitars, Nashville USA (che gli propose di trasferirsi a lavorare per lui), Walter Carter storico emerito della Gibson, theTone Bender Master, Ing. Gary Stewart Hurst, Jim Nugent e gli amici inglesi, francesi e da tutto il mondo e tutti coloro che hanno saputo apprezzare l'immane passione musicale che ha permesso a Roberto, pur criticato, di perseverare nel dimostrare la sua teoria sul suono Shadows, e last, but not least, l'architetto e web designer Ermanno Cappini, grazie al quale questo website ha visto la luce.
A Paolino Canevari con il quale da molti anni ho una rapporto di amicizia fraterna e ci sentiamo spesso un pò come due orfani, essendo stati (più lui di me), sempre molto vicini a Roberto.
CE LO FACCIAMO UN THEINO? di Paolino Canevari
Quest'articolo venne scritto appositamente e pubblicato in una sezione dedicata a ricordo della figura di Roberto Pistolesi sull'opuscolo diffuso in occasione della fiera “Second hand Guitar” nel novembre 2006, la prima organizzata dopo la scomparsa del liutaio di S. Croce.
Rileggendolo, ed essendone l'autore, ho pensato di correggerne un paio di piccoli refusi (relativi soprattutto ad alcune date) e cambiarne una parte aggiornandola, quella relativa al primo body “Spacecaster”.
"Ce lo facciamo un thèino?...", questa era la tipica frase con la quale esordiva Roberto verso le cinque del pomeriggio, per fare una pausa dal lavoro. Quante volte, mentre ero suo ospite, l'ho sentita pronunciata e spesso aspettata con ansia (…dopo certi pranzi, non proprio leggeri o dietetici, il desiderio di thè o di caffè diventava necessità).
Il rito del thè del pomeriggio, quando non c'erano clienti ad aspettare o lavori urgenti da consegnare, non era solo la pausa dal lavoro ma un momento di convivialita creativa.
Davanti ad un thè, preso nel monolocale retrostante al laboratorio di S. Croce sull'Arno, potevano saltare fuori racconti e aneddoti sugli anni '60 e '70, storie buffe su musicisti e amici ma anche progetti (la mia Spacecaster per esempio, oppure la Slide-Master che purtroppo non è mai stata realizzata) e proposte che spesso venivano abbandonate talvolta si concretizzavano, un esempio su tutti: i pickup VooDoo.
Un pomeriggio dell'autunno del 1996 stavamo prendendo il solito thè (accompagnato dagli immancabili “cavallucci”… tanto per non far scendere il livello calorico) io, sfogliando una copia di Vintage Guitar Magazine, feci a notare a Roberto la pagina pubblicitaria di Peter Florance, produttore dei VooDoo, dicendo che mi incuriosivano e che poteva essere interessante provarli.
Roberto, dopo aver dato un occhiata rispose “Ecche ci vole?!, ne ordiniamo un set per Strato, uno per Tele e poi li si prova… se sono boni li si usa… se non ci convincono li si usa per qualche sostituzione su chitarre non di alto costo”.
Detto fatto, inviò immediatamente un fax di ordine (in quei giorni non aveva ancora l'allacciamento ad internet).
Passate un paio di settimane, una sera mi squilla il telefono, e un accento inconfondibile, che non aveva bisogno di presentazioni, mi dice: “quei pickuppe sono boni, ma boni davvero, bisogna che mi porti la chitarra che se ti arbano ce li montiamo”.
A questo punto avrete già capito tutto, appena arrivati i VooDoo erano stati immediatamente testati sul “muletto” prova pickup e confrontati attentamente con vari altri prodotti, avevano superato tanto brillantemente la prova da far si che Roberto decidesse di utilizzarli come dotazione standard per le chitarre di sua produzione.
Che dovevo fare, dopo alcuni giorni ero sulla via di S. Croce con la mia allora “quasi” Spacecaster pronta per il cambio dei “pickuppe”.
Dico “quasi” Spacecaster perché la chitarra o meglio la chitarra e mezza che posseggo ha una storia abbastanza articolata che nasce, come dicevamo all'inizio, di fronte ad un thè preso nel retrobottega.
In quel periodo (fine 1996) usavo una battagliatissima reissue '62, alla quale avevo prontamente cambiato i pickup e sostituito i tasti.
Siccome il manico continuava a crearmi dei problemi di stabilità, chiesi a Roberto di costruirmene uno... la risposta fu: “d'accordo ma perché allora non tutta la chitarra?” Io, pur desiderando da tempo uno strumento costruito da Roberto, non ne avevo mai concretizzato l'ordine scoraggiato dai lunghi tempi di attesa, ma ormai il dado era tratto… anche se si trattava di aspettare.
Proprio in quei giorni ebbi l'opportunità di visitare il laboratorio di Marco Caroti, già allievo e collaboratore di Roberto.
Parlando della Spacecaster che avevo appena commissionato, Marco mi disse che durante la sgrossatura dei corpi “Strat-style”, (operazione che, in quei giorni Roberto e Marco effettuavano insieme nel laboratorio di quest'ultimo) uno era stato danneggiato durante la lavorazione e quindi, non essendo più corrispondente ai loro standard qualitativi, andava scartato.
Se lo volevo me lo regalavano, altrimenti sarebbe finito nel camino.
Accettai immediatamente, nella peggiore delle ipotesi lo avrei utilizzato come complemento di arredo del mio, allora decisamente spoglio, appartamento.
Il danno consisteva in un colpo di sega circolare nel contour posteriore.
Una volta tornato a casa iniziai a lavorare sul corpo con raspe e carta vetrata, alla fine il danno sparì, ma il contour risultò essere estremamente pronunciato, ma di insieme gradevole e più che soddisfacente.
Fortunatamente Roberto era intenzionato ad evadere un po di ordini arretrati e lavoro intensamente alla costruzione dei manici.
Nel corso delle mie successive visite in Toscana, vidi sgrossare i manici delle future Space e Skycaster (i legni erano stati tagliati e sgrossati in precedenza e poi lasciati riposare).
Io stesso passai alcune ore a carteggiare il mio futuro manico sotto l'occhio esperto e critico del Maestro.
Nell'agosto del 1997 il manico, nonostante le previsioni di tempi d'attesa lunghissimi, era pronto.
Con l'idea di provarlo sul corpo reissue portai con me anche il body “salvato” dal camino, ora riaccomodato e verniciato in Blonde trasparente.
A Roberto bastò un'occhiata, “il manico non lo si monta sul body della riedizione, lo si monta su quell'altro, non avrà il contour giusto, ma almeno è quello che si è fatto noi… col legno bono... o, non senti che quest'altro è sordo e un'sona?”.
Argomentazione più che convincente, che dite?
La chitarra, una volta assemblata, suonava bene e Roberto ne era soddisfatto (figuratevi io!).
La domanda successiva che mi pose col suo classico sguardo sornione, al di sopra degli occhiali da lavoro fu: “Che ci voi mettere sulla paletta?”… classica domanda trabocchetto.
Al mio "nulla, oppure una decal tarocca che toglieremo quando sarà pronto il body sunburst due toni!” mi sentii rispondere: “per il corpo ci avrai da aspettare un bel po... e meglio che ti ci metta una decal mia e poi si vedrà”.
Iniziò così la mia love story con la Spacecaster che, credetemi, mi fece passare il desiderio di possedere una “maple neck” originale degli anni 50 che non potevo e non posso ancora permettermi, e soprattutto non mi faceva assolutamente rimpiangere gli strumenti “vintage” che da poco, con gran malincuore avevo ceduto.
Per più di un'annetto non chiesi più notizie del corpo “due toni sunburst”, ma, sul finire del 1999, in concomitanza dell'ordine della Spacecaster “Irish Green” di Igor, tornai alla carica.
Roberto, scherzosamente, mi disse che se volevo il corpo dovevo guadagnarmelo dandogli una mano.
Mai “ricatto” giunse più gradito e segnò l'inizio di un lungo periodo caratterizzato da continue “fughe” in Toscana a lavorare ai corpi.
Il mio apporto tecnico era molto semplice: innanzitutto pulivo per terra e con l'aspirapolvere facevo sparire i trucioli e la segatura che si produceva durante il lavoro di fresatura, ma soprattutto carteggiavo, carteggiavo e carteggiavo sotto lo sguardo divertito di Roberto.
Fu nell'estate del 2002 che, carteggiando una trentina di corpi, scelsi quello per la mia Spacecaster.
In verità, per evitare questa responsabilità, avevo chiesto l'intervento diretto di Roberto che mi rispose “…carteggiandoli tutti li devi maneggiare più e più volte… prima o poi uno che ti arba lo trovi… o magari è lui che trova te”.
Una volta che ebbi fatta la mia scelta Roberto soppesò il body in ontano, ne saggiò attentamente la risonanza e sorridendo, ma senza proferire parola, scrisse a matita il mio nome nello slot per il manico.
Quello rimarrà nei miei ricordi come un periodo unico ed irripetibile, prendevo le ferie per poter passare un po di tempo nel laboratorio di Santa Croce a raccogliere trucioli e ad imparare un sacco di cose.
Roberto amava parlare, raccontare ed ascoltare.
Si alternava il lavoro a sessioni nella mansarda a provare e comparare chitarre ed amplificatori, ad ascoltare musica, a far prove di registrazione o più semplicemente a parlare.
Una telefonata sul finire del novembre del 2003 mi avvisava che il mio nuovo corpo Spacecaster e la “Irish green” di Igor, erano pronti o quasi.
Insomma era finalmente arrivato il momento di assemblare le chitarre.
Immediatamente chiesi ferie e senza e in un battibaleno sono partito per la Toscana.
Le due Spacecaster vennero completate tra il pomeriggio di giovedì 27 e la notte del 28 novembre del 2003.
Prima di avvitare i manici, Igor ed io chiedemmo a Roberto di apporre all'interno delle chitarre, accanto al marchio a fuoco che caratterizzava i suoi prodotti, un suo autografo, lui fece molto di più, scrisse due brevi dediche.
Poi, rivolto a me disse: “Che ci fai adesso con quell'altro body?" (quello blonde, completo di ponte e parte elettrica ma orfano di manico).
Semplice risposi “aspetto che tu mi costruisca un rosewood neck".
Erano le 5 del mattino e la risposta fu: "Ma voi non dovevate partire per andare a lavorare? che fate quelli che non si accontentano mai? Dai che ci si fa
un thèino, con i cantucci”.
Nel corso degli anni la allora “quasi - Spacecaster” (non ha il marchio al suo interno) vide montati una gran varietà di manici, alcuni di buona qualità altri super industriali… alcuni abbastanza soddisfacenti, altri completamente deludenti… ma il suono iniziale era andato perso… la chitarra non suonava più
come prima!
Per essere precisi il manico, con tastiera in palissandro, ad essa destinato era stato successivamente individuato (ne ero sinceramente onorato) in quello montato sulla Spacecaster fiesta red numero 4, quella personale di Roberto, costruita quando il “Mago di Santa Croce sull'Arno”, non avendo ancora progettato e costruito la “macchina per i manici” (il suo banco con fresa studiato appositamente per la sagomatura dei manici), utilizzava manici Warmoth grezzi che successivamente sagomava su specifiche del cliente.
Roberto, infatti, aveva in lavorazione un paio di manici caratterizzati dalla figurazione del legno particolarmente bella, destinati alle sue due Spacecaster personali, allineati con gli altri manici in attesa di lavorazione ma siglati ben in evidenza a matita con la parola “MIO!”.
Purtroppo il destino non permise che questo progetto venisse portato a termine.
Nel 2009, sempre a SHG, rincontrai Marco Caroti, ci eravamo sempre tenuti in contatto ma non avevamo più avuto l'occasione di vederci di persona.
Avevamo già parlato telefonicamente di quella “Spacecaster” orfana di manico e di come, nonostante tutti i miei cambi di manico e di pickup non fossi più riuscito a ritrovare un suono che mi soddisfacesse completamente.
E in quell'occasione Marco mi propose due manici, ancora grezzi, che si era tenuto per se e che provenivano da una produzione fatta con Roberto alcuni anni prima.
Ne scelsi immediatamente uno (entrambi in acero bird's eye e tastiera in palissandro brasiliano) concordammo specifiche di tasti e di verniciatura e aspettai…
Nell'estate dell'anno successivo il manico, con la decal “Mac Guitar Spacecaster” (e una piccola decal sul retro che riporta special made for P.C.) venne montato sul vecchio body che venne equipaggiato con un bel set di pickup Voodoo come in origine.
Va da se che questa “Space” divenne immediatamente la mia strat numero uno per le esibizioni live… la sunburst due toni me la coccolo a casa o all'occasione me la sono portata in studio di registrazione.
Una parte di me sa che sbaglia… che dovrei usarla più spesso… ma non nascondo che per alcuni anni, il solo tirarla fuori dalla custodia, mi faceva venire un groppo in gola… e poi ha acquisito, per me, un valore affettivo altissimo… è unica… non rimpiazzabile… pertanto me la coccolo con affetto e mille attenzioni… che i palchi non mi permetterebbero.
Mi sono spesso ritrovato a pensare a Roberto come ad un uomo del Rinascimento, oltre alle competenze tecniche e professionali che conoscevamo, aveva conoscenze in altri ambiti culturali che spesso ci lasciavano a bocca aperta.
Conosceva a fondo il legno e come trattarlo, l'elettrotecnica e la meccanica, quando aveva dei dubbi si documentava, si informava, e studiava.
Era capace, durante una chiacchierata, di parlare di come va costruito un buon trasformatore, passare a disquisire sul cambio della sua motocicletta BMW andando poi a finire su come funziona un Garand M1 (lui che, se ricordo bene, non aveva neppure fatto il servizio militare) divagando poi su particolari tecnici dei disegni di Leonardo sul volo degli uccelli.
Roberto aveva un grande cuore ed un carattere a volte un po “ruvido” (mai provato sulla mia pelle ma visto in “azione” alcune volte).
Mi ha accolto come un fratello minore e oltre ad avermi insegnato tanto, mi ha fatto il grande dono della sua amicizia.
Dopo di lui un grande vuoto.